CURA DELL’ANORESSIA NERVOSA. INTERVISTA ALLA DOTT.SSA MINNECI
Curare l’anoressia nervosa è un percorso spesso lungo e faticoso. L’anoressia nervosa è infatti, al pari della bulimia nervosa, un grave disturbo dell’alimentazione e la cura richiede il lavoro e il contributo di diversi professionisti. Centrale nel percorso di cura è il ruolo dello psicologo-psicoterapeuta. La psicoterapia infatti è la cura di elezione per l’anoressia nervosa. Il ruolo dello psicoterapeuta è fondamentale non solo per i pazienti ma anche per i familiari, da anni infatti il lavoro dei professionisti comprende la cura non solo paziente ma anche del contesto familiare. A parlare della cura dell’anoressia la dott.ssa Daniela Grazia Minneci, psicologo e psicoterapeuta dell’Ospedale Maria Luigia.
Sommario
- Cura dell’anoressia nervosa
- Difficoltà più comuni nella cura dell’anoressia
- Chi soffre di anoressia nervosa sente la fame?
- Quali sono gli aspetti psicologici su cui lavorare con una paziente con anoressia?
- Come si articola un percorso di psicoterapia per pazienti anoressiche?
- Dove si cura l’anoressia nervosa?
- E’ possibile riconoscere l’anoressia nervosa all’esordio?
- Cosa può fare un genitore?
- Bibliografia
- Autori
Cura dell’anoressia nervosa
Curare l’anoressia nervosa è un percorso complesso che vede coinvolti diversi professionisti sanitari. Uno dei ruoli chiave dell’equipe è senza dubbio lo psicologo psicoterapeuta. La psicoterapia è infatti ritenuta, dalla letteratura internazionale, uno dei pilastri della cura dell’anoressia nervosa. Ma che cos’è l’anoressia nervosa?
“L’anoressia è, insieme alla bulimia nervosa, il più conosciuto disturbo alimentare” racconta la dott.ssa Grazia Minneci. “La caratteristica fondamentale dell’anoressia nervosa è la restrizione delle calorie ingerite. Questa restrizione porta ad un peso corporeo significativamente basso (con serio rischio per la salute fisica). Altra caratteristica dell’anoressia è l’intensa paura di aumentare di peso.”
Restrizione alimentare e paura di ingrassare portano ad una progressiva perdita del peso corporeo; centrale diventa quindi, nella cura dell’anoressia, affrontare la paura di ingrassare e conseguentemente puntare al recupero di un peso corporeo sano.”
Difficoltà più comuni nella cura dell’anoressia
“Ma questo non è sufficiente” prosegue la dott.ssa Minneci “a volte pazienti riferiscono di voler aumentare di peso anche se mettono in atto comportamenti che interferiscono con l’incremento ponderale.
Ad esempio nascondono o buttano via il cibo oppure si impegnano in attività fisica eccessiva e compulsiva.” Sostenere la motivazione al cambiamento è uno dei primi passi in un percorso di cura per anoressia. E questa motivazione va costantemente sostenuta ed alimentata.
“Inoltre chi soffre di anoressia ha un rapporto patologico con il proprio corpo. La percezione di sé può essere alterata (spesso le pazienti percepiscono in modo alterato le forme del corpo, si parla quindi di disturbo dell’immagine corporea) e questa influenza notevolmente l’autostima.
Per questo presso il nostro Ospedale abbiamo un protocollo specifico sull’immagine corporea che prevede la partecipazione settimanale ad un gruppo di psicoterapia, e alla partecipazione ad un protocollo di trattamento di gruppo chiamato Body Perception Treatment. Per alcune pazienti inoltre, che l’equipe reputa pronte, proponiamo un percorso individuale di esposizione allo specchio.
Chi soffre di anoressia nervosa sente la fame?
“Nonostante il termine “an-oressia” letteralmente significhi “assenza di appetito”, chi ne soffre spesso avverte, anche molto intensamente, lo stimolo della fame. Questo aspetto può comunque variare da paziente e a paziente.
Nella mia esperienza clinica ho verificato che le persone con anoressia nervosa possono riferire sensazioni e vissuti molto diversi riguardo l’appetito. Alcune pazienti riferiscono di non sentire la fame, altre di percepirla costantemente ma, allo stesso tempo, di avere paura di non riuscire a dominarla o controllarla qualora provassero a “lasciarsi andare”.”
“In generale comunque, per chi soffre di anoressia, negare i propri bisogni alimentari è una forma di controllo. Non assecondare lo stimolo della fame, riducendo progressivamente il proprio peso corporeo diventa un modo per avvertire una sensazione di controllo, almeno in un’area della propria vita.
E’ come se, con i propri sintomi, una paziente ci dicesse “non controllo nulla nella mia vita, ma almeno una cosa la controllo, il mio corpo e la mia fame”. E questo porta in una spirale negativa senza fine. Perchè il peso raggiunto non soddisfa mai, perché non è in grado di compensare il profondo senso di inadeguatezza personale che queste pazienti vivono.”
Quali sono gli aspetti psicologici su cui lavorare con una paziente con anoressia?
“Non c’è una risposta univoca alla domanda. Ogni persona è portatrice dei propri vissuti, delle proprie difficoltà. E un aspetto molto importante è proprio mettersi in ascolto della paziente che hai in cura. Comunque ci sono alcuni aree e aspetti che ritornano in questa tipologia di pazienti e su cui lavoriamo in psicoterapia“
Bassa autostima e perfezionismo patologico
Una delle aree di intervento di una cura psicologica in pazienti con anoressia è il lavoro sull’autostima e sul perfezionistmo patologico. “La bassa autostima è un problema psicologico frequente in chi soffre di disturbi alimentari.
Le idee negative che queste pazienti hanno di se stesse spesso precedono l’insorgenza del disturbo (si parla in questi casi di fattori di rischio psicologici) e si mantengono nonostante le prestazioni anche eccellenti nei vari ambiti della vita.” Può capitare infatti che pazienti si sentano insoddisfatte di se stesse anche se hanno risultati brillanti a scuola o nello sport.
“Spesso sono pazienti che presentano un perfezioni clinico (detto anche “perfezionismo patologico”) che le porta a non essere mai soddisfatte di sé. Come se ciò che fanno debba essere sempre fatto meglio, innescando così un circuito di insoddisfazione costante.” Aspetto importante della cura psicologica è quindi quello di sostenere l’autostima e l’autoefficacia, riducendo l’ipercriticismo.
Patologica attenzione al dettaglio
“Inoltre spesso queste pazienti tendono a mostrare una patologica attenzione al dettaglio, concentrata sui propri difetti e imperfezioni. Proviamo per un attimo a pensare di avere una lente di ingrandimento, e immaginiamo di utilizzarla per ingrandire i nostri difetti.
Vedremo solamente questi, ingigantiti, e non vedremo il resto della nostra vita, fatta anche di successi e punti di forza. Il nostro campo visivo sarebbe alterato, perderemmo la visione complessiva di noi, lasciandoci in preda alle emozioni spiacevoli connesse al fallimento.”
“Uno degli obiettivi della cura è quindi quello di aiutare a non usare “la lente di ingrandimento” e imparare ad essere più gentili con se stessi, ampliando lo sguardo e osservando tutta la vita, non solo concentrandosi sui propri difetti.”
Paura della maturità
“Altra caratteristica psicologica molto frequente in queste pazienti è la paura della maturità. Queste pazienti possono avere difficoltà nell’affrontare le sfide tipiche della vita. Per esempio nell’ambito delle relazioni interpersonali possiamo osservare un evitamento delle relazioni sentimentali.
In generale sono persone che faticano a diventare indipendenti e ad affrontare le situazioni nuove.” Anche in questo caso il sostegno e la cura psicologica sono importanti per aiutare queste pazienti ad affrontare le difficoltà tipiche della crescita e ad aumentare così la fiducia in loro stesse.”
Difficoltà nel riconoscere e regolare le emozioni
“Ulteriore caratteristica psicologica di queste pazienti è la difficoltà ad avere accesso al proprio mondo emotivo interiore. Sono pazienti che fanno fatica a lasciarsi guidare dalle proprie emozioni, tendono a sopprimerle, e ad affidarsi agli altri nelle decisioni importanti.
Ad esempio, nella scelta della scuola, possono delegare le scelte ai propri genitori, non autorizzandosi ad intraprendere la strada che sentono come più adatta alle loro capacità, competenze e attitudini. In questi casi scopo della cura è quello di aiutare queste pazienti a dare valore al proprio mondo interiore accogliendo la loro individualità e unicità.”
Come si articola un percorso di psicoterapia per pazienti anoressiche?
“In questa domanda trovo molto appropriato il termine “percorso“, infatti si tratta di un viaggio, di un cammino da fare insieme. Ed ogni cammino è diverso, anche se possiamo trovare dei “passi” comuni. Il primo passo è quello di prendere consapevolezza di avere un problema.
Dobbiamo ricordare che, per chi soffre di anoressia, il disturbo rappresenta spesso la “soluzione” a problemi psicologici più profondi più che un problema in sé. La malattia diventa un salvagente a cui aggrapparsi quando il “mare della vita” è agitato.”
“Per questi motivi la prima difficile fase di un percorso di cura può essere anche molto lunga ed essere contraddistinta da ambivalenza e scarsa motivazione. E’ però importante ricordare che sia l’ambivalenza verso il cambiamento che la scarsa motivazione fanno parte del problema da affrontare e sono spesso il primo step di una psicoterapia in questi casi.”
“L’accettazione piena di avere un disturbo può essere considerato il secondo passo. Il terzo diventa la decisione di affrontare seriamente un percorso di cura supportati da professionisti competenti.” Nella cura dei disturbi alimentari è fondamentale il lavoro di equipe.
“Abbiamo maggiori probabilità terapeutiche se c’è un lavoro sinergico tra diversi professionisti. Per il paziente e la sua famiglia è fondamentale confrontarsi una équipe multidisciplinare che possa aiutarli a compiere la scelta terapeutica più adatta al singolo caso.”
Dove si cura l’anoressia nervosa?
“Dipende dal livello di gravità e quindi dall’intensità di cura. Il trattamento di elezione è il trattamento ambulatoriale ma quando questo risulta inefficace ci sono livelli di intensità di cura maggiori. Come il ricovero a trattamento intensivo che eroghiamo qui all’Ospedale Maria Luigia.
Caratterizzato da periodi di trattamento relativamente brevi, dai due ai quattro mesi. Ci sono poi forme intermedie come il day hospital. O forme più intense come il ricovero ospedaliero ad esempio in medicina interna, dove le condizioni fisiche sono così gravi da minacciare la sopravvivenza del paziente.”
E’ possibile riconoscere l’anoressia nervosa all’esordio?
“Non è facile riconoscere i primi sintomi dell’anoressia nervosa, anche se, rispetto alla bulimia nervosa, i cambiamenti fisici possono essere più evidenti e possono fungere da campanello d’allarme. Nel corso della mia esperienza mi è capitato comunque di avere a che fare con genitori che, nel primo periodo della malattia, avevano confuso i sintomi del disturbo con la propensione della propria figlia ad adottare uno stile di vita più salutare!”
“E’ importante prestare attenzione ai cambiamenti, nel carattere, nelle abitudini alimentari, nello stile di pensiero.” In queste prime fasi può essere utile prestare attenzione ad alcuni segnali di sofferenza psicologica ponendosi alcune domande:
- Mia figlia è spesso di malumore o irritabile?
- Tende ad isolarsi e non frequenta più il gruppo di amici?
- Il suo comportamento sembra rigido, ripetitivo ed è difficile per lei accettare imprevisti o cambiamenti di programma?
- Evita di mangiare in famiglia dicendo di aver già mangiato? Dopo i pasti va spesso in bagno?
“Rispondere sì a queste domande deve fare accendere dei campanelli di allarme”
Cosa può fare un genitore?
“In questi casi, da genitori, possiamo affrontare l’argomento con delicatezza , esprimendo con calma la nostra preoccupazione e segnalando a nostra figlia cosa abbiamo notato. E’ importante scegliere un momento favorevole, meglio se lontano dai pasti ed in un contesto il più possibile rilassato.
E’ importante ricordare che nostra figlia potrebbe non essere ancora consapevole di avere un problema. Lo sviluppo dell’anoressia nervosa infatti, non sempre è sotto il controllo cosciente o intenzionale.”
“Altra cosa che si può fare è soffermarsi sulla sofferenza psicologica che abbiamo notato senza essere critici o giudicanti. Possiamo anche chiedere in che modo possiamo fornire sostegno in un momento che sembra particolarmente difficile. Non scoraggiamoci se incontriamo negazione, rabbia o derisione. Aspettiamo altre opportunità per interessarci alla vita emotiva dei nostri figli.”
“Ricordiamo che “la goccia scava la roccia. Il tempo, la determinazione e la pazienza possono portare a risultati insperati o considerati inizialmente irrealizzabili.”
Intervista alla dott.ssa Daniela Grazia Minneci, psicologa e psicoterapeuta del reparto DCA dell’Ospedale Maria Luigia e viceresponsabile del servizio di psicologia
Bibliografia
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